Uomini che uccidono le donne

Uomini che uccidono le donne

Dietro le storie di violenza contro le donne ci sono uomini incapaci di reggere l’urto emotivo provocato in loro dallo spezzarsi di un legame sentimentale, impreparati ad accettare un rifiuto da parte della loro compagna.

In una relazione interpersonale sana la separazione provoca dolore ma non apre un abisso, invece in una relazione patologica la mancanza di quella persona specifica provoca uno stato di lutto permanente, insanabile, come se, aldilà della donna a cui si deve rinunciare, non vi fosse altro che la morte, come se la persona che si è persa rappresenti l’unica risposta al proprio disagio interno. Spesso infatti gli uomini violenti vedono nelle compagne non degli individui indipendenti, autonomi, “separati”, dotati di una loro personalità e capacità decisionale, bensì le percepiscono come un’appendice narcisistica di sé stessi, un’estensione del proprio Sé, una loro proprietà. E così ad esse chiedono di adeguarsi ed ubbidire, senza dimostrare di amarle e rispettarle. Gli uomini violenti tante volte hanno alle spalle una storia di attaccamento infantile insicuro, instabile ed ambivalente che li rende incapaci di discriminare la differenza tra l’amore ed il possesso e non attrezzati a tollerare che l’altra persona non viva per lui, non sia alla sua mercè, non gli deva un amore incondizionato (Aldo Rocco, “Perché gli uomini picchiano le donne”, Ediz. Sovera, Roma, 2007).

Questi uomini adottano un comportamento che segue uno schema ripetitivo, un copione: inizialmente seduttivi ed amorevoli dopo si trasformano in richiedenti attenzioni esclusive, così mettono in atto strategie atte ad isolare sempre di più la donna da altre relazioni sociali e familiari rendendola sempre più succube, sempre più “solo sua”. La mortificano nella sua autostima, la picchiano, insultano, svalutano e la tengono sotto ricatto usando un mix di minacce e richieste di perdono. Molte donne restano prigioniere in questa oscillazione sentimentale, restano invischiate in questa ambivalenza che le confonde, subiscono una violenza che si manifesta in molti modi e spesso non trovano la forza di reagire e tutelarsi. Anche i figli sono vittime impotenti e subiscono la violenza domestica rischiando, crescendo, di riprodurre i modelli disfunzionali familiari riproponendone i comportamenti distruttivi sia nel ruolo di vittima che di carnefice (M. Murgia, L. Lipperini, “L’ho uccisa perché l’amavo, FALSO!”). Tali uomini appaiono dominanti ma in realtà sono fragili, bisognosi di cure, attenzioni continue e sostegno, sono uomini che mantengono la loro egemonia ed il loro potere affettivo attraverso l’uso della forza, delle percosse fisiche e psichiche. Sono uomini che non sanno farsi amare ma che adoperano l’aggressività per marcare il loro territorio familiare e relazionale. Per questo è indispensabile creare dei centri di prevenzione della violenza maschile in cui accompagnare gli uomini a costruire nuove modalità relazionali con la partner e fornire loro uno spazio di confronto verbale (Isabella Merzagora Betsos, “Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento”, Raffaello Cortina, Milano, 2009).



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