PRINCIPESSE PAN: SINDROME DELLE ETERNE RAGAZZINE

PRINCIPESSE PAN: SINDROME DELLE ETERNE RAGAZZINE

Se la sindrome di Peter Pan indica gli uomini incapaci di diventare adulti, quella delle Principesse Pan (denominata dalla giornalista americana Tracy Mc Millan con l’acronimo PP) è un’etichetta che definisce le donne che non vogliono crescere, che si rifiutano di invecchiare ma scelgono di restare eternamente ragazzine.

E’ l’ultima “tendenza” di molte star che ne incarnano l’esempio: provocatrici ‘femme fatale’, benestanti, alla moda, look perfetto, silhouette da top model, età incalcolabile, simboli di bellezza ultraterrena impeccabile che fanno strage di cuori. Le “principesse” vivono la vita con grande vivacità per sentirsi sempre giovani, attente a non dimostrare mai la propria età anagrafica, a nascondere le rughe grazie ad iniezioni e bisturi.

Quella delle Principesse Pan rappresenta una nuova categoria sociologica femminile indicante donne 30/50enni, realizzate nella vita professionale, che nel privato però mantengono comportamenti ed abbigliamento simili a quelle di una teenager. Sono donne che restano concentrate su sè stesse, non hanno vincoli, né partner fisso e figli, sono libere ed autonome. Possono contare su risorse relazionali, amicali, professionali ed economiche. Rincorrono il potere professionale, sono apprezzate sul lavoro per la loro fermezza e determinazione. Molte di loro occupano ruoli di potere e di prestigio ma combattono lo stress e le responsabilità del lavoro con la futilità e gli atteggiamenti adolescenziali, focalizzandosi sui piaceri estetici (minigonne, shorts sfilacciati, T-shirt con le scritte, abiti attillati, stivaletti, trecce, rossetti e mollette rosa da bamboline). In questo modo rimandando il passare del tempo. Sono donne piene di contraddizioni: la loro vita appare molto seria professionalmente ma conservando la mente da ragazzine attaccate ad aspetti vanesi e futili.

 

Questo nuovo modello di donna è lontano da ruoli prefissati e condivisi, sorpassa i modelli classici di madri e nonne.

Forse questa è la risposta di una generazione di donne disincantate che mettono sè stesse al centro della vita, disdegnano i ruoli sociali in cui si chiudono gli adulti, rifiutano i cliché sociali. Le principesse Pan però sono spesso disapprovate perché mettono in crisi i ruoli femminili classici: conducono una vita diversa, fuori dai soliti copioni stereotipati, ma molte volte non sanno realizzare un modello di vita autentico e la loro vita spensierata regge finché il peso degli anni non ha il sopravvento. Esse comunque sono allineate alle pressioni ed ai valori culturali attuali (spesso stabiliti e condivisi dagli uomini) che vogliono le donne sempre belle, appealing ed eternamente giovani. Così queste “principesse” tentano di sostare più a lungo possibile in quella nuova ed illusoria fase di vita inventata negli ultimi anni che non arriva mai alla maturità, restando intrappolate nel limbo tra l’adolescenza e l’età adulta.

In un’epoca in cui la pressione sociale è terribile, preservare la propria giovinezza – estetica e comportamentale – sembra essere indispensabile per chi vuole rimanere «desiderabile». La giovinezza è diventata un periodo chiave. Così tante donne evitano i ruoli adulti contrastandoli con un look sbarazzino e ribelle, le cure ormonali e la chirurgia plastica per rimandare il momento di crescere, di diventare «come le altre». Non cercano il principe azzurro, non vogliono crearsi una famiglia, sanno di potersela cavare finanziariamente, affettivamente ed emozionalmente senza avere bisogno di un uomo: si sentono complete da sole. Sovente testimoni dei divorzi dei loro genitori, si rifugiano nelle compagnie usa e getta dei toy boy.

Per fare un’analisi sociologica e psicologica profonda di questo fenomeno, di questo modo diverso di affrontare la vita, bisogna considerare ed accettare l’idea che la realizzazione personale e la maturità, passano per vie, modalità, scelte soggettive, a volte non condivisibili, nel saper prendere decisioni personali che si basano più sulla consapevolezza di sè che su ciò che gli altri si aspettano.



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